Considerazioni su The Rock Trading, mondo cripto e regolatori

20 febbraio, 2023 - Ferdinando Ametrano

Lettera aperta

Questa volta l’evento è tutto italiano e non riguarda i soliti ciarlatani che si possono tenere a distanza col semplice buon senso. A fermare l’operatività è The Rock Trading (TRT), la più longeva borsa di scambio Euro/Bitcoin. Per anni ho detto di loro che non si erano mai fatti bucare da hacker e non si erano appropriati dei soldi dei clienti: le migliori credenziali che si potessero ostentare nel Far West del mondo cripto. Oggi leggiamo che sarebbero stati bucati per circa 900mila euro a settembre 2021 e, soprattutto, constatiamo che il blocco dei prelievi euro e cripto suggerisce la possibilità di ammanchi ben più ingenti.

Naturalmente, fatti e responsabilità sono ancora tutti da chiarire e accertare ma, dal mio punto di osservazione [1], emergono subito tre evidenze.

Lo sconforto per risparmi persi e suggerimenti disattesi

La prima è lo sconforto di tutti i clienti di TRT che temono per i propri risparmi. Ho ricevuto centinaia di loro messaggi preoccupati: investitori, appassionati (perché l’investimento cripto è spesso culturalmente caratterizzato), ma anche manager del mondo finanziario tradizionale, giornalisti e politici. Infatti, The Rock Trading godeva di una vasta fiducia, motivata anche da scelte prudenti del management, effettuate spesso a scapito di una crescita che avrebbe potuto essere maggiore se solo fosse stata più spregiudicata. Ad esempio non hanno mai servito clientela statunitense, non consentono posizioni a leva, incoraggiano i clienti a non detenere le cripto sulla piattaforma di trading, le concessioni agli altcoin sono sempre state limitate, ecc.

Ovviamente, tutti quelli che mi hanno scritto non hanno mancato di ammettere di aver disatteso il suggerimento, noto e sempre ribadito, di non custodire fondi presso le borse di scambio, se non quelli strettamente necessari al trading [2]. Insomma, gli investitori del mondo cripto hanno ancora un basso grado di maturità e non hanno nemmeno metabolizzato le considerazioni sui fatti del 2022: si affidano a qualunque intermediario sembri affidabile.

A nessuno viene in mente che il saldo del proprio conto corrente possa svanire o che le azioni nel proprio conto titoli non esistano davvero. Quello che nel mondo finanziario tradizionale è dato per scontato — grazie ad un ordine faticosamente guadagnato negli ultimi decenni, seppur con una fiducia non completamente fondata — non può esserlo nel mondo cripto.

I criteri di affidabilità

Il tema dell’affidabilità è la seconda evidenza. Ad esempio, tanti clienti preoccupati si sono rivolti a me; ma perché dovrei essere più affidabile del management di The Rock Trading? Sono consapevole (persino orgoglioso) delle mie credenziali professionali, imprenditoriali e accademiche, ma agli occhi di un terzo sono convincente per aspetti soggettivi o oggettivi? Come posso dimostrare ai clienti di CheckSig che non faremo anche noi una brutta fine? Sono grato per la fiducia che viene attribuita a me e CheckSig, ma verso di noi e altri attori dell’ecosistema cripto (quando non c’è una sfiducia pregiudizievole) c’è una fiducia qualitativamente simile a quella riposta in precedenza verso attori poi rivelatisi inaffidabili.

Per questo tento sempre, invece, di rimarcare aspetti oggettivi, facilmente quantificabili, i soli su cui la fiducia si può e si deve fondare. Chiarito il punto del non detenere risparmi cripto sulle borse di scambio, il tema che ne deriva è quello della custodia. È irragionevole affidare le proprie cripto ad aziende che non superino positivamente l’esame di quattro condizioni inderogabili:

  1. offrire una Prova-delle-Riserve (proof-of-reserves) pubblica, periodica, inequivocabile
  2. essere assoggettate ad audit indipendente di terza parte
  3. avere coperture assicurative
  4. avere una rigorosa segregazione tra i beni dei clienti e quelli della proprietà

Ovviamente chi legge potrà contestarmi un conflitto di interessi: CheckSig, supera questo esame a pieni voti. Prima al mondo a dare Prova-delle-Riserve dal 2020 (e tutt’ora unici custodian), unica in Italia ad avere attestazioni SOC da auditor indipendente (una delle big four), unica in Italia ad avere coperture assicurative (fornite da un primario gruppo europeo), ha completa segregazione dei fondi e sta valutando la modalità più efficace e trasparente per darne dimostrazione pubblica (che comunque dovrebbe essere verificata da ispezioni dei regolatori). Si tratta di metriche oggettive, le uniche su cui basare la fiducia: se i nostri competitor non ne sono all’altezza è perché non vogliono o non possono.

Alcuni tornano a suggerire la self-custody, contrapposta ai servizi di un operatore centralizzato, secondo la regola del not your keys, not your coins. Non mi sfugge quanto questa possibilità sia utile e persino essenziale in determinati contesti, ma attenzione a non cadere dalla padella di operatori inaffidabili nella brace di un fai-da-te improvvisato e pericoloso: meglio non sottovalutare i rischi di imperizia tecnica, quelli di aggressione a scopo di furto, il problema di come i nostri cari erediteranno i nostri asset digitali, gli adempimenti fiscali, ecc. Insomma, la strada della custodia indipendente non è per tutti: su temi di frontiera anche la fiducia nelle proprie capacità tecniche può essere inaffidabile, semplicemente i fallimenti operativi dei singoli non fanno notizia.

Con CheckSig forniamo i servizi che ci si aspetterebbe fossero offerti da istituzioni finanziarie tradizionali: comprare e vendere per i clienti su borse affidabili, custodire in sicurezza, stare in regola con il fisco, dare formazione continua ed informazione costante, ecc. Perché questi servizi a vantaggio dell’investitore cripto non sono offerti dalle banche tradizionali?

La responsabilità dei regolatori

E veniamo, quindi, all’ultima evidenza: la responsabilità è anche dei regolatori. Non si tratta evidentemente di responsabilità diretta, ma si potrebbe indicare una specie di aggravata “omissione di servizio”. Nel tentativo maldestro di marginalizzare (anzi, meglio, criminalizzare) il mondo cripto, l’Autorità Bancaria Europea nel 2014 invitò i regolatori nazionali a dissuadere le istituzioni finanziarie dal comprare, vendere e detenere criptovalute in attesa di un quadro regolamentare che, nove anni dopo, non è ancora arrivato.

Quindi, risparmiatori ed investitori interessati al mondo cripto sono stati lasciati in balìa di operatori spesso inaffidabili, quando non semplicemente truffaldini. Bitcoin è l’investimento più performante dell’ultimo decennio, rappresenta una nuova asset class che non può essere ignorata in una allocazione di portafoglio diversificata. Eppure, i regolatori continuano a ribadire il loro non expedit alla partecipazione del mondo bancario al fenomeno cripto. Addirittura, Consob ha invitato le società di revisione e consulenza a non lavorare con operatori cripto, invece di invitarli a controlli più stringenti. Insomma, sembra che gli operatori cripto debbano essere lasciati fuori dal consorzio industriale e finanziario e i loro clienti vadano solo dissuasi, per un pregiudizio squisitamente ideologico.

Come a confermare una pericolosa miopia, i regolatori insistono nelle loro preoccupazioni per il riciclaggio: rischio trascurabile come dimostrato anno dopo anno dai report di Chainalysis tanto quanto dal rapporto biennale del Tesoro inglese. Anche il registro OAM per i fornitori di servizi su cripto-attività è stato istituito per controlli anti-riciclaggio e verrà utilizzato per monitoraggio fiscale; nessuna preoccupazione, invece, sulla professionalità ed affidabilità degli iscritti al registro.

Eppure l’evidenza ben documentata è che il reato principale nel mondo cripto è la truffa, non il riciclaggio. Per evitare che l’ingenuo Pinocchio, allettato dal miraggio di guadagni facili, consegni i suoi zecchini al gatto e alla volpe, basterebbe che potesse comprare e vendere Bitcoin tramite la sua banca, investire in ETF (non ETP) cripto, custodire tramite banche depositarie, ecc. Risparmiatori ed investitori dovrebbero poter operare tramite le istituzioni finanziarie tradizionali su mercati regolati; le fintech cripto più serie dovrebbero poter svolgere il loro ruolo di fornitori, partner o attori pienamente autorizzati e regolati. Non è troppo tardi per rimediare.

Ferdinando Ametrano
Cofondatore e amministratore delegato, CheckSig


[1] Per il comunicato stampa ufficiale di CheckSig si veda qui.

[2] Amara ironia della sorte: da anni i clienti TRT potevano trasferire in custodia CheckSig le loro cripto, in modo semplice e immediato, tramite un modulo di prelievo appositamente predisposto da TRT medesima.

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